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La lista civica nazionale PER IL BENE COMUNE affonda le proprie radici in un precedente esperimento di democrazia partecipata, ovvero il Movimento Politico dei Cittadini, una realtà che - attraverso il metodo delle assemblee pubbliche – cercava di costruire un percorso in totale linea di rottura con tutti i partiti esistenti.
Nel gennaio 2008, però, la caduta del governo Prodi e l’indizione di nuove elezioni politiche arrestò bruscamente questo percorso e mise il M.P.C. di fronte ad un bivio: dell’attesa di una maturazione della situazione politica (Grillo) oppure cogliere l’occasione per far conoscere le nostre idee e contattare tante persone?
Muovendo da un giudizio molto duro sulla situazione in cui versa(va) il Paese, prevalse quest’ultima ipotesi.

In occasione dell’anteprima del film Zero a Roma, Monia Benini e Fernando Rossi (tra i fondatori del Movimento Politico dei Cittadini), incontrarono Giulietto Chiesa, Oliviero Beha ed Elio Veltri  proponendo di lavorare con urgenza alla nascita di un progetto politico nuovo, una sorta di lista civica nazionale, volta all’interesse e al bene comune, per la quale ciascuno avrebbe fatto un passo indietro rispetto alla propria “appartenenza”, a favore di un soggetto condiviso e aperto a tutti i movimenti, gruppi e associazioni libere dalle clientele di partito.

Nonostante la non partecipazione diretta degli altri interlocutori (ad eccezione del sostegno manifestato da Elio Veltri, e all’adesione fattiva di alcuni aderenti a “La Repubblica dei Cittadini”), nacque la lista civica nazionale PER IL BENE COMUNE (registrata come associazione politica, con l’attuale statuto e manifesto etico ).
I tempi ristrettissimi per l’adempimento della miriade di passaggi burocratici, consentirono a P.B.C. di elaborare un programma partecipato e di scegliere un simbolo solamente attraverso internet (gruppo google) e poche assemblee regionali. Similmente, per i candidati, si accettò la disponibilità di tutti coloro che decisero di sottoscrivere il manifesto etico e il programma, salvo poi arrivare agli sgoccioli e non avere nomi in diverse realtà regionali. Si creò così un gruppo di candidati che si rese disponibile a candidature multiple (in vari collegi) purchè P.B.C. potesse presentarsi ovunque (ad eccezione della Valle d’Aosta, del Trentino-Senato, e della Sicilia 2 – zona dalla quale fummo ingiustamente esclusi per una forzatura magistrale della locale Corte d’Appello, la quale non ritenne valide le autentificazioni delle firme di 3 candidati, certificate da un pubblico ufficiale, dirigente d’Anagrafe).

Altra urgenza fu l’individuazione di un candidato premier: non avendo avuto la disponibilità di Giulietto Chiesa (che avrebbe connotato la campagna elettorale soprattutto dal punto di vista dei temi dell’informazione e della sovranità nazionale), di Elio Veltri (che avrebbe posto l’accento sulla criminalità organizzata e sui poteri forti del Paese), ed essendo Fernando Rossi chiuso al ragionamento sul proprio nome (per evitare una pretestuosa connotazione ideologica di PER IL BENE COMUNE) si pensò di puntare su Stefano Montanari (che aveva già accettato la candidatura a capolista in Emilia Romagna), e la risposta fu positiva.
Ma il percorso della lista era tutto in salita: il 18 febbraio il Consiglio dei Ministri del governo di centro sinistra approvò il decreto salva-firme che consentiva a tutti i soggetti rappresentati in Parlamento da almeno 2 esponenti di presentarsi alle elezioni senza dover raccogliere le migliaia di firme previste dalla legge. Un provvedimento che graziava tutti, con una sola eccezione: P.B.C., che contava sulla partecipazione del solo Rossi alla fondazione!
Da qui la forma estrema di protesta del Senatore che fece lo sciopero della fame e si incatenò per tre giorni interi all’interno di Palazzo Madama, mentre il Presidente del Senato vietava a tutti i media di avvicinarsi a lui, onde evitare la diffusione all’esterno di immagini che richiamassero l’attenzione sull’ingiustizia commessa. In contemporanea, attraverso la rete e alcuni attivisti, la notizia si diffuse e la scusa del Governo fu che ormai non c’era più il tempo per rimediare all’errore.
In soccorso di P.B.C. giunse la disponibilità a sostenere la presentazione del movimento da parte di Giulietto Chiesa, e la lettera del 27 febbraio con la quale Franca Rame (Senatrice) diede  il “sostegno tecnico” alla lista. In questo modo, quattro giorni dopo, la lista civica nazionale PER IL BENE COMUNE poté depositare programma e simbolo presso il Ministero dell’Interno.

Tutta la campagna elettorale fu in completa e perfetta applicazione della DIS-par condicio, al punto tale che il centro di ascolto nazionale ammise, ad elezioni terminate, che P.B.C. aveva avuto una visibilità complessiva dello 0,2% rispetto alla programmazione elettorale televisiva (mentre sui quotidiani andò ancor  peggio: 0,01, in eccesso). Nonostante ciò, P.B.C. ottenne 120.000 voti. Ma il progetto era partito e oltre 40 milioni di Italiani avevano visto sulle loro schede elettorali, al momento del voto, questo nuovo simbolo.

Il 26 aprile 2008 si incontrarono i vari candidati e tutti coloro che avevano partecipato alla lista per decidere come procedere: scartata immediatamente l’idea di un soggetto partitico (con tanto di tessere e di nomina all’istante di dirigenti) e rifiutata l’idea di un semplice contenitore da attivarsi ad ogni scadenza elettorale per la convergenza di realtà politiche con idee non sempre condivise, si riaffermò con forza l’identità originaria di PER IL BENE COMUNE, già prevista nello Statuto.

P.B.C. da allora ha cominciato a consolidarsi attraverso internet e le assemblee regionali, durante le quali gli aderenti hanno potuto candidarsi ed eleggere il coordinatore, che a partire dall’assemblea nazionale del 1 giugno è andato a comporre il gruppo operativo nazionale (coordinamento nazionale), insieme alle persone che nei mesi precedenti avevano dimostrato le maggiori competenze in alcuni settori nevralgici (web, riforma dello stato, ambiente, lavoro, economia, rapporti internazionali, giustizia e, ultimamente, scuola).

Durante l’assemblea del 1 giugno gli aderenti hanno altresì respinto l’ipotesi dello scioglimento per confluire in un diverso soggetto politico da ri-fondare, dal momento che la natura stessa di P.B.C. è aperta all’adesione di chiunque ne condivida statuto, manifesto etico e impostazione programmatica. Contestualmente, la lista si è dedicata ad una partecipazione democratica reale, il che significa primarie, programmi partecipati e assemblee deliberanti per tutti gli impegni elettorali (elezioni amministrative, regionali, politiche, europee), impegnandosi a non connotarsi in modo monotematico dal punto di vista dei problemi da affrontare.
Oggi, P.B.C. è quindi un soggetto politico che, tra gli aderenti, estrae a sorte i componenti del collegio di garanzia e i revisori , che pubblica l’estratto conto e il proprio bilancio , e che si basa sull’assemblea degli aderenti.

Oggi, P.B.C. è una realtà fatta di persone di tutte le parti d’Italia che hanno deciso di scardinare l’ordine prestabilito dei poteri forti e di opporsi ai dettami dei partiti e alla loro degenerazione. Oggi, P.B.C., che si batte per l’attuazione della Costituzione e della Carta Universale dei Diritti dell’Uomo, è uno dei pochi strumenti a disposizione di chi, stanco della rassegnazione, rifiuta l’indifferenza ed ha deciso di impegnarsi in prima persona come rappresentante di un popolo che vuole riappropriarsi del proprio territorio e della sovranità del proprio Paese.